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Esternalizzazioni e cessioni rami… Secchi

  • Immagine del redattore: Elvis Informatico
    Elvis Informatico
  • 2 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

Se guardiamo al mercato delle aziende, specialmente quelle quotate in borsa, ci rendiamo facilmente conto di che oceano sconfinato possano essere. Fusioni, accorpamenti, cessioni, holding ecc. Movimento continuo e costante, squali giganti e piccoli pesciolini, costituiti da migliaia di piccolissimi atomi, che presi singolarmente non spostano nulla, ma la loro forza incommensurabile è nell’unione: siamo noi dipendenti, noi lavoratori. Comuni mortali, granelli di sabbia sempre in balìa degli eventi decisi da pochi eletti, presunti luminari ed illuminati, in teoria tutti dovremmo remare verso una direzione comune che, però, a volte subisce delle brusche sterzate. Quest’organizzazione piramidale della società non può che fare figli e figliastri, è una leva d’Archimede che dal volere di pochi genera un’onda esponenzialmente più grande, che investe come uno Tsunami decine, centinaia o addirittura migliaia di persone. Sto parlando delle esternalizzazioni, ovvero quando un’azienda sceglie, per l’appunto, di esternalizzare una funzione fino a quel momento svolta internamente. Onestamente di economia aziendale non ne so nulla, potrei scrivere castronerie e non sarei certo il primo né l’ultimo, leggo semplicemente notizie finemente selezionate per cercare di tenermi aggiornato, e quel poco che ho capito è che le grandi aziende sono spesso delle holding che detengono partecipazioni, oppure imprese che dividono la propria forza in rami d’azienda più piccoli e specifici, quei pesci più piccoli costituiti da atomi che siamo noi. E così un bel giorno il cda decide di cedere, effettuando una cosiddetta “cessione del ramo d’azienda”.  Decisioni sempre strategiche, “per il bene dell’azienda”, “per rinforzare le competenze”, “per il florido futuro che ci attende”, dichiarazioni di cartello come etichetta da mettere sui giornali. Ma, tornando alla piramide, al cui apice i pochi illuminati hanno decretato una cessione, cosa accade alla base? Perché 10-15 sedicenti dirigenti dovrebbero decidere senza appello il futuro di centinaia, se non migliaia di dipendenti? E soprattutto, a che condizioni? Queste ultime, spesso rappresentano banali “dettagli” da limare, ma significano molto per il dipendente che verrà “ceduto”. Diversi gruppi bancari negli ultimi 10 anni hanno iniziato a cedere i famosi rami d’azienda, in particolare le divisioni informatiche. Sicché big del mercato IT come Accenture (senza fare nomi…) o Capgemini si sono trovate ad assumere ormai ex-dipendenti bancari, ma con un contratto diverso da quello bancario e spesso di natura metalmeccanica o commerciale, che poco hanno a che fare col precedente. E “chissene” se diminuiscono i benefici, se si perde il fondo pensione, se i buoni pasto valgono meno o altro, al di là di questi “particolari”, il vero problema è che le condizioni contrattuali dei dipendenti, spesso e volentieri, sono svantaggiose rispetto alle precedenti. Insomma, l’effetto scarica-barile si rivela in tutta la sua potenza, l’azienda cede un ramo, cede persone che l’hanno rappresentata fino a quel momento e lo vuole fare nel modo più veloce possibile, con meno noie possibili, della serie “arrivederci e grazie!”. Per fortuna ancora esistono dei diritti sul lavoro, basta andare da un bravo avvocato e la storia recente ci dice che l’azienda non poteva cedere svalutando le condizioni contrattuali del lavoratore, class action di ex-dipendenti hanno costretto grandi realtà a riassumere, oppure a corrispondere un risarcimento a coloro che dovevano oramai essere ex-colleghi. Si dice spesso, come slogan, che l’azienda è rappresentata dai lavoratori e viceversa, ma è davvero complicato accettare una cessione da chi viene messo fuori la porta dall’oggi al domani. Psicologicamente l’impatto è duro, sembra una bocciatura, uno sbattere la porta in faccia a chi per anni è stato l’azienda stessa. A volte sembra che i quartier generali di grandi imprese vogliano liberarsi di chi, con il proprio lavoro, li ha portati così in alto. Ho come l’impressione che ci siano troppi lavoratori, che siamo troppi in questo mercato del lavoro ed in questo mondo, e quindi i pochi ricchi e potenti vogliono liberarsi di tali zavorre. Come si può valorizzare un ramo aziendale cedendolo? Possiamo lavorare sui numeri, sulla giurisprudenza ed il diritto del lavoro, garantire quantomeno le stesse condizioni lavorative al dipendente ceduto, ma è davvero il minimo sindacale. Non c’è indennizzo morale a chi si trova messo fuori la porta senza un motivo reale, bensì con l’intento di “investire e valorizzare gli asset aziendali”, non valorizzo niente vendendo, valorizzo solo se mantengo e sostengo, e questo qualsiasi azienda dovrebbe saperlo.

ree

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