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L'arte di staccare

Aggiornamento: 21 lug 2022

Aneddoto: pieno luglio di qualche anno fà, in un team di circa 4 persone il più anziano ed esperto ebbe finalmente diritto alle sue meritate due settimane di ferie. L'esimio collega, che per privacy chiameremo Luigi, era completamente immerso nel tran tran lavorativo da non so quanti... Anni. Già, ho scritto proprio anni, Gigi non staccava mai, tossicamente dipendente dall'immagine del collega insostituibile che amava incarnare per colmare qualche vuoto interiore.

Completamente assorbito da mail e riunioni, sviluppi e rilasci, le sue giornate erano almeno di dodici ore (quando diceva di staccare presto...) e noi altri non riuscivamo ad immaginare quella stanza d'ufficio senza di lui, nel bene, ma soprattutto nel male. "C'è da fare una nuova attività!", "Gigi ci sta già pensando". "Dobbiamo rivedere quel pezzo di codice, ci hanno chiesto delle modifiche", "Lo ha già fatto Gigi". Gigi o Luigi, che dir si voglia, era sempre inesorabilmente e maledettamente sul pezzo, superando di gran lunga la necessità, sfociando nel surreale, nel tossico e nel maniacale. Aveva completamente dimenticato (o forse non lo aveva mai saputo) il concetto di "squadra", aveva un bisogno sempre più forte ed autoalimentante di occuparsi di lavoro, e di farlo da solo. Quando entrava in ufficio la mattina sembrava prendere ossigeno, prendeva colore. Il suo personalissimo concetto di condivisione era un implicito nonché violento "ti spiego quello che ho fatto io e quello che farò, sempre e solo io!". Tu non avevi scelta, restavi lì a guardare questo alieno soffocando sbadigli da svenimento, avresti fatto qualsiasi cosa pur di non dover assecondare quel pazzo nei suoi deliri di fallita autostima. Ben inteso, noi le si aveva provate tutte: proattività, disponibilità, schiavitù, colazioni insieme, qualsiasi cosa pur di riuscire a trovarsi bene con Gigi e non andare a lavoro con l'ansia di non sapere nemmeno come salutarlo. Ma lui era completamente perso in sé stesso, col lavoro colmava una situazione matrimoniale in pesante default, le telefonate con la moglie erano un continuo di "Eh! Cosa vuoi? Ho da fare! Ci passo dopo ok? Adesso ciao!!", così fredde che all'inizio uno aveva il dubbio che dall'altra parte della cornetta ci fosse addirittura il capo, di certo non sua moglie. Quando arrivarono quelle due settimane di ferie per Gigi, pareva fossero le nostre! Ci sentivamo liberi, sereni di poter quantomeno pensare a come fare qualcosa senza il suo avallo o senza che ci avesse già pensato lui. Il clima era dunque sereno, quando ad un certo punto, dei passi familiari si avvicinavano alla porta dell'ufficio. "Gigi??? C... Come mai sei q... Qui? Non dovevi essere in ferie? ", e Luigi: " Avevo delle cose da finire... ". Non ci potevamo credere, era venuto a lavoro pure se era in ferie... La tensione salì alle stelle in un paio d'ore, stavo seguendo delle cose che arrivò lui e notai che se ne stava occupando senza dirmi niente. Ed il capo? Sapeva tutto ma se ne sbatteva altamente, da gran paraculo qual era, finché dura fa verdura si dice. Luigi si era chiuso, accanendosi sul lavoro probabilmente per non affrontare altro, c'era un evidente squilibrio che s'illudeva inconsciamente di colmare lavorando. Il lavoro può essere molto pericoloso in casi del genere, può essere usato per sostituire altre sfere - ad esempio quella emotiva - alla ricerca di noi stessi. Lavorando non pensiamo ad altro, non ce ne rendiamo conto, sappiamo inconsciamente che è meglio la scrivania ad un rapporto in crisi od una famiglia in difficoltà. Il lavoro ci permette di non sentire e non affrontare, ci fa passare il tempo che ci sembra non passi mai proprio perché i problemi restano sempre lì ad attenderci. La routine, il tran tran, le abitudini, va tutto tenuto sott'occhio, perché potrebbe generare degli squilibri negli aspetti della vita. Ci sono delle leggi fisiologiche a cui dobbiamo attenerci, la nostra giornata media non può essere fatta soltanto di lavoro, ad eccezione di qualche scadenza urgente, non possiamo né dobbiamo permettere che il lavoro ci invada. C'è un tempo per tutto: se circa ogni due ore la legge dice che è necessario alzarsi e prendere un quarto d'ora di pausa facciamolo! Se dopo 8 ore la legge parla di straordinari (al di là di discorsi economici che qui non ci interessano) fermiamoci! Se non è strettamente necessario stiamo togliendo tempo a noi stessi, per ritemprarci e recuperare. Se non teniamo sotto controllo questi meccanismi rischiamo di finirne dipendenti: oggi mi fermo un'ora in più, magari anche domani, dopodomani due ore, così risolvo anche quest'altro problema. Sotto mentite spoglie (una semplice scadenza da rispettare) potremmo trovare il nostro tunnel senza luce, nel quale rimarremo incastrati allungandolo senza volerlo, si tratta di stress! Accettiamo che non siamo supereroi, non stiamo salvando delle vite, già tenere a mente un principio del genere può preservarci dal soffocare nel lavoro delusioni ed insuccessi personali con la scusa di dover salvare il mondo, rendendo così le nostre giornate di 48 ore, tutte lavorative! Coltiviamo l'arte di saperci fermare, non torturiamoci da soli chiedendo troppo a noi stessi, non siamo degli automi e non risolveremo una lite con nostra moglie fixando un bug. In altre parole, coltiviamo l'arte di saper staccare.




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