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Carriera: restare o cambiare (e quando)?

Aggiornamento: 1 lug 2022

Quanti colleghi ed amici conoscete che lavorano nella stessa azienda da oltre 10 anni? Personalmente pochissimi, sempre meno, soprattutto in confronto ai famosi anni '80, quelli in cui il Bel Paese finiva ingordamente di godersi quel benessere economico prima di entrare nell'euro e trovarsi con un potere d'acquisto pressoché dimezzato. Ma la crisi economica, seppur alla base di tutto, ci interessa poco. Ciò su cui il presente post vuole concentrare l'attenzione è l'attuale condizione lavorativa, il mercato del lavoro al giorno d'oggi. Quanto e con che ritmo è necessario crescere? Gli stipendi degli anni sopra citati non esistono più per il ceto medio, stipendi che restavano comunque alti e consentivano di contenere financo gli effetti di un'inflazione non ancora così galoppante e diffusa. Ma siamo di nuovo finiti a parlare di soldi... Del resto, non ci sono altre modalità per sopravvivere nella società. Tuttavia "lavoro" vuol dire tante cose: soldi sicuramente, ma anche professionalità, formazione, soddisfazione, senso di appartenenza, autostima, in generale crescita. Faccio personalmente fatica ad immaginarmi nel fare il medesimo lavoro vita natural durante, sarà una stortura, una miopia personale ma è così, soprattutto nell'IT.

Ciò che forse è cambiato di più nel tempo è proprio il mercato del lavoro nel settore informatico: le tecnologie si migliorano costantemente, quasi quotidianamente, l'informatica non è mai la stessa e costringe, nel bene e nel male, a stare sempre sul pezzo. Potremmo trovarci un domani a dover inseguire e recuperare il terreno che non abbiamo guadagnato strada facendo, oggi non ci si può più permettere di restare fermi. Cosa vuol dire? Facciamo un esempio pratico: se non eseguiamo gli aggiornamenti al nostro computer, presto smetterà di funzionare e saremo costretti ad aggiornare tutto insieme impiegando il doppio del tempo. Il lavoro dell'informatico ha la stessa caratteristica: il cambiamento continuo e costante. Cambia tutto: le tecnologie, i linguaggi di programmazione, le soluzioni architetturali, si parla sempre più di servizi IT piuttosto che software, di Cloud piuttosto che "On Premise", di Smart Working anziché in sede. Se non stiamo al passo con questo "universo del bit" rischiamo di restare fuori da tutto, occorre fare principalmente due sane cose in parallelo:


- Colloqui a ritmo costante (qui l'articolo)

- Crescere professionalmente nella propria realtà


La prima serve per studiare il mercato del lavoro, capire cosa le aziende stanno cercando e come si stanno muovendo tecnologicamente. Ad esempio, il fatto che stiano quasi tutte passando in Cloud è qualcosa che personalmente ho constatato durante diversi colloqui di lavoro, dove è sempre più richiesta la figura del Cloud Administrator, tra i servizi Cloud attualmente più in voga c'è AWS (Amazon Web Services) seguito subito dopo da Microsoft Azure. Nei colloqui le aziende fanno sempre un'introduzione relativa alla realtà in cui operano, non senza quel pizzico di malcelato orgoglio che generalmente le porta a fornire molti più spunti e dettagli di quanto il colloquio conoscitivo ne richieda, e che possiamo sfruttare per fare domande dal duplice fine: dimostrare una curiosità che ben dispone i nostri interlocutori ed ottenere più informazioni per capire lo stato della loro evoluzione tecnologica.

La seconda missione è quella di crescere professionalmente nell'attuale azienda, facile a dirsi ma decisamente meno a farsi, ma il punto è tutto lì. Come fare a capire se è opportuno chiedere un aumento? Se proporsi su nuovi progetti aziendali? Stiamo crescendo? Ogni quanto dovremmo porci queste domande? La risposta principale, a mio avviso, è nel mercato del lavoro. Fare periodicamente colloqui ci aiuta a misurarci sul mercato, capendo cosa stanno cercando le aziende e come stanno evolvendo tecnologie e contratti, solo dopo questa fase riusciremo ad inquadrarci all'interno della nostra realtà e capire a che punto siamo nel nostro percorso di crescita. Mediamente e con un calcolo spannometrico basato soltanto sull'esperienza personale, ogni 2-3 anni è necessario fare il punto della situazione con noi stessi: procedendo sempre di anno in anno (la valutazione aziendale sul nostro operato è infatti annuale) dobbiamo chiederci se, dopo almeno 2 anni ci sentiamo migliorati professionalmente. Abbiamo acquisito nuove competenze tecniche? Sono migliorate le nostre capacità personali? Gestiamo con meno stress le solite attività oppure ci sentiamo sempre immancabilmente sotto pressione come il primo giorno? Stiliamo una lista, scriviamo tutto questo su carta, aiuta tantissimo a guardarci dentro da una prospettiva concreta ed esterna. Se dal giorno "0" al giorno "730" (due anni) tutto è rimasto invariato allora c'è qualcosa che non va, non stiamo crescendo! Perché bisogna sempre crescere, la vita stessa è un percorso unidirezionale, va solo avanti. Avanti nella nostra maturità, nelle nostre scelte via via più oculate ed azzeccate, nella conoscenza di noi stessi. Il lavoro è solo una delle tante sfere su cui la nostra vita si riflette e dunque non possiamo restare piatti ed indifferenti ai cambiamenti, dobbiamo esserne parte, possibilmente in testa piuttosto che in coda. Dobbiamo "accorgerci" della nostra evoluzione professionale suddividendola nei due aspetti principali: tecnico e personale (Hard Skills vs Soft Skills). Entrambi gli aspetti corrono di pari passo, non sono affatto slegati, costituiscono un unicum. Se non sappiamo comunicare, comprendere, accogliere e collaborare, la tecnica da sola non basterà a portare a casa risultati, non possiamo mica fare tutto da soli. Se dopo un paio d'anni pensiamo di non esser cresciuti globalmente o quanto meno non abbiamo gettato le basi per poterlo fare, dobbiamo valutare attentamente il proseguo. Dai 3 ai 5 anni senza ottenere scatti professionali (soprattutto economici, ma non solo) possono essere un lasso di tempo troppo lungo rispetto ai ritmi del mercato e dell'informatica, il rischio è venire surclassati da forza lavoro più giovane ed a minor costo, rischiamo seriamente di uscire dal mercato. L'unica vera ricchezza nella nostra carriera lavorativa è l'esperienza, alla fine è questa che viene pagata. L'esperienza è capacità di gestione, è meno stress possibile, è velocità, efficacia ed efficienza, ed è l'unica risorsa che nessuno ci può togliere. Sta a noi arricchire la nostra esperienza: sperimentando, cimentandoci, aggiornandoci, insomma dobbiamo essere intraprendenti e non assuefarci nella nostra comfort zone (in cui conosciamo tutto, ma è maledettamente piatto). L'esperienza va di pari passo con l'anzianità, è strettamente vincolata all'età, più cresciamo più accumuliamo anni di esperienza. Tuttavia l'esperienza è come una pianta, come il seme di un albero: dobbiamo coltivarla, farla crescere, innaffiarla, nutrirla di elementi che possono accrescerla. Se non facciamo tutto questo essa può diventare arida e seccarsi sempre più, rischiando di gettare al vento anni di lavoro piatto e fine a sé stesso, mentre giovani ed intraprendenti nuove leve sono pronte a subentrarci a minor costo.

Se dopo 2-3 anni la nostra crescita professionale è rimasta invariata allora dobbiamo subito fare il punto della situazione, valutando fattori interni (che dipendono da noi) ed esterni, ed esser pronti a cambiare realtà collocandoci attivamente sul mercato (sul quale, come più volte ribadito, dobbiamo comunque esser sempre all'ascolto). Se invece decidiamo di proseguire con l'esperienza lavorativa attuale allora dobbiamo fare un piano e porci degli obiettivi misurabili e raggiungibili entro i prossimi 1-2 anni, altrimenti rischiamo di andare fuori mercato! Fuori mercato vuol dire non riuscire a collocarsi più nel mondo del lavoro, non vedersi e non sentirsi riconosciuti, non sentirsi appagati né soddisfatti, può essere davvero frustrante e pericoloso. Tutto questo può spaventare, fa paura pensare di non aver fatto mai abbastanza, ma forse la si vede nel modo sbagliato: cerchiamo una stabilità illusoria mentre il nostro corpo è il primo a cambiare di anno in anno, mentre i nostri figli imparano cose nuove ogni giorno ed hanno esigenze via via diverse, perché dovremmo volerci fermare? Perché rinunciare alla scoperta, alla conoscenza, all'arricchimento (non finanziario, o non solo), all'intraprendenza, al cambiamento come opportunità, come vitalità, come rigenerazione e rinascita, quando viviamo un tempo così relativamente breve e finito?...




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